Guardate lo stemma di Lecce: una lupa nera campeggia su un albero di leccio carico di ghiande dorate, le cui radici sono scoperte e in bella vista. Le radici reali di Lecce sono invece coperte e invisibili, al di là delle stilizzazioni folkloristiche utili ad attrarre i turisti. Non solo le periferie: le prostitute; i migranti; i nuovi poveri. È la faccia nascosta della Lecce che non compare nelle tv o nei quotidiani maìnstream, che sembrano più attenti a quanto accade sul grande palco del dibattito pubblico, ai sussurri della politica, alle parate delle istituzioni, tanto da non trovare il tempo di occuparsi dei macchinisti sporchi di grasso nel retropalco. È come se Martella, che pure scrive da cronista per un medium tradizionale, tentasse un'operazione di carotaggio di quelle radici che nutrono Lecce, fra la straordinaria umanità che popola gli alveari della 167, lungo i viali intorno alla stazione ferroviaria, nelle casette impregnate di umidità del centro storico, sui pavimenti delle sagrestie del centro che risuonano dei passi dei professionisti impoveriti in cerca di aiuto.
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